Quando veniva il medico a fare una visita in famiglia, allora la mamma preparava un bacile con l'acqua pulita, una saponetta nuova ancora in confezione e l' asciugamani bianca di lino portata in dote per le occasioni importanti. Il tutto era sistemato nel portabacile che in ogni casa non mancava mai, perché era l' unico modo per lavarsi quando si tirava ancora l'acqua col secchio; quindi finita la visita, il medico si lavava le mani soddisfatto, anche perchè si rendeva conto di essere trattato come persona di rispetto.
Il proteggigomito
Era il tempo in cui gli impiegati dovevano andare in ufficio con vestito e cravatta, ma, dovendo usare inchiostro e calamaio per scrivere, onde evitare macchie al vestito buono, proteggevano il gomito della giacca con un manicotto nero fornito di elastico alle due estremità (v. Totò in "Chi si ferma è perduto").
La candela della Candelora
A giugno, se grandinava, il danno per l' agricoltura era enorme (l' uva, il grano, il mais" ecc. venivano irrimediabilmente danneggiati , allora veniva considerata efficace l' accensione della candela benedetta alla Candelora e , se la minaccia era forte, allora se ne accendevano due. Questo intervento veniva considerato veramente efficace.
La vott' 'la mola
(La botte del mulino)
Era il rigonfiamento che faceva l' acqua della Forma per salire in altezza e prendere la caduta per mettere in movimento le pale del mulino di Castelluccio. Erano fortunati alcuni miei coetanei che vantavano una parentela col proprietario Luigi Ferdinandi, perche' gli veniva concesso di fare il bagno in questa specie di piscina, noi altri dovevamo andare alla "gerbia" o alla Forma normale.
Le lumache
Di questi tempi si andava la mattina presto o la sera di notte nelle campagne di Pignataro a cercarle, da noi erano poche a causa della insistente raccolta di gente del posto. Oggi nessuno le cerca più ed ogni volta che pianti la lattuga, devi prima di tutto spargere l'antilumaca.
Pane e cetriolo
Era la merenda preferita in questo periodo (fine maggio), altro di meglio non c'era , dal momento che si mangiava solo cio' che si produceva.
Toccoliare le noci
Era la bacchiatura delle noci e si faceva da sopra l'albero, battendo con la parte posteriore della scure i rami, in modo da far cadere i frutti. Eravamo tristi noi ragazzi addetti al pascolo pomeridiano degli animali, perchè così finiva per noi la possibilità di mettere qualcosa di buono nel nostro stomaco, battendo da terra i rami col lancio di bastoni o pietre.
Dormire fuori d'estate
Si preparava il letto dentro la sala del carro, mettendovi un materasso di spoglie di granturco e ricoprendo le sponde con qualche vecchio lenzuolo: la cosa serviva un po' a lenire le molestie del caldo e un po' ad esibire, da parte di noi ragazzi, quel coraggio che ci faceva varcare la soglia dell' adolescenza.
La quaresima di pezza
Era una bamboletta di pezza confezionata in casa che si appendeva al balcone centrale 7 settimane prima della Quaresima. Alla base era attaccata una patata su cui si infilavano sette penne di quelle prese dalle ali delle galline: come un conto alla rovescia, ne veniva staccata una a settimana, fino ad arrivare a Pasqua.
La spogliatura delle pannocchie (spannocchiatura)
Il granturco veniva raccolto con le mani e trasportato con i carri in mezzo all' aia, dove si faceva un grande mucchio. Finita la raccolta, si poteva iniziare la spogliatura: per questo lavoro occorrevano molte persone, ma non era un problema, non si facevano pagare, trattandosi di uno scambio d' opera, e non erano poche le persone, poichè le famiglie erano numerose. Un fatto era molto importante: vi partecipavano molti giovani, anche i non invitati, perchè era in quest' occasione che si potevano conoscere le ragazze, magari segnalando il proprio interessamento col lancio di qualche pannocchia.
Durante la spogliatura del granturco si riunivano intorno al mucchio centrale anche una trentina di persone: la manodopera non costava, perchè c'era lo scambio, ma anche perchè la cosa risultava gradevole per il fatto che ci si incontrava come in una festa e si spettegolava tanto. Per i giovani era l' occasione per incontrarsi e mandarsi dei segnali: quello caratteristico della spannocchiatura era il lancio della pannocchia, che avendo la parvenza di uno scherzo, voleva soprattutto segnalare alla ragazza il proprio interessamento che in seguito poteva essere ricambiato con sguardi ammiccanti. Il periodo più adatto era quello della luna piena, poichè non essendoci la corrente, di notte non c'era altra possibilità per vederci.
Quando non esisteva la lavatrice, le lenzuola venivano lavate a mano con il sapone fatto in casa , venivano messe in un contenitore di vimini, rivestito con un telo, chiamato ceneraio, ed a strati alternati si mettevano lenzuola e cenere. Veniva poi colata l’acqua bollente. Fino a quando l’acqua non usciva dalla parte bassa, non era colata, il bucato non era pronto. Il giorno dopo si toglievano le lenzuola e venivano portate con i canestri al ruscello per essere risciacquate.
Scendendo nella valle si trovava il lavatoio: si trattava di tre pietre a superficie piana disposte nella Forma. Lì andavano le ragazze a lavare i panni, immergendosi con gli stivali o a piedi nudi nell' acqua: il lavoro era duro perchè si doveva stare piegati per almeno mezza giornata e si gelavano mani e piedi, ma anche qui esisteva l' altra faccia della medaglia:i ragazzi approfittavano di questa ghiotta occasione per andare a corteggiare le ragazze che a volte erano consenzienti e a volte contrarie, a seconda dell' individuo. Capitava che qualche mamma, conoscendo il "pericolo",mandasse come guardiano un fratellino impertinente che, tornato a casa, facesse la spia.
Il contadino d'estate
D' estate faceva troppo caldo per lasciare la mucche dentro la stalla, perciò si legavano fuori, ma si dovevano guardare, perchè c' erano i ladri, qualcuno parlava anche di briganti. Quindi il contadino si faceva un letto fuori, un po' rialzato, e dormiva lì, con grave rischio per la propria incolumità, perchè i ladri, per portare a termine il furto, colpivano il padrone con una botta in testa e portavano via il bestiame.
Ad ogni primavera un bravo contadino si preparava il letto fuori per dormire vicino alle bestie. Esso era fatto in questo modo:si disponeva un incrocio ad x davanti e dietro fatto con pali di legno, sopra, un po' alta, si inchiodava una cornice di legno a forma di rettangolo e su di essa venivano legate singolarmente, una per una, tutte canne secche ravvicinate. Il letto era fatto, al momento si aggiungeva un saccone pieno di spoglie di granturco, qualche coperta e vi si poteva dormire.
C'erano due o tre anziani che dicevano di vedere gli spiriti: in particolare accadeva soprattutto di notte, quando attraversando la campagna buia, vedevano delle figure mostruose o delle travi di fuoco. Qualcuno raccontava di vedere le streghe, erano delle donne che andavano di notte presso le case dei contadini ad intrecciare le criniere dei cavalli.Per questo si metteva davanti alla porta della stalla una scopa di stramma, in modo che la strega, perdendo tempo a contare i fili della scopa non facesse in tempo, entro la notte, a fare incantesimi nella stalla, che tuttavia era chiusa dall' interno con una robusta barra di legno.
Era un cilindro senza le basi, fatto in strisce di canna intrecciate(ogni canna veniva spaccata in quattro con un apposito attrezzo fatto al momento: si trattava di due bastoncini uniti a forma di croce). Serviva nel deposito dei cereali per contenere una decina di quintali di grano , granturco o biada. Pochissimi erano i contadini che sapevano farle e spesso si facevano pregare, ma non si facevano pagare.
Gliù moje (lat. modius)
perchè servivano in diverse occasioni, ma soprattutto quando si trebbiava il grano, per trasportalo dalla trebbia alla rimessa (erano le donne che si occupavano di ciò, caricandosi il fardello sopra la testa,poggiandolo sulla cèrcina, "spara", in dialetto). Per confezionarli c' erano dei contadini bravi che se ne occupavano nel tempo libero, per sè e per gli amici, magari in cambio di qualche cortesia.Per evitare che i semi fuoriuscissero dalle piccole fessure , si usava impiastrarli, nella parte interna, con sterco di mucca che, seccando, li rendeva anche più solidi.
La pignata
C' era acqua calda tutto il giorno e si poteva cuocere qualsiasi cosa
che non fosse troppo voluminoso. Essa si comprava a Pontecorvo, il lunedì di mercato, per gli stessi motivi della cannata. La pietanza che si cuoceva più spesso erano i fagioli con le cotiche o il cotechino, ma non bisognava abbandonarla a se stessa, perchè quando andava in ebollizione buttava fuori i liquidi e bisognava rabboccarla, oppure avveniva comunque una lenta evaporazione che lasciava i fagioli a secco e se non si riempiva non andava bene: spesso questa sorveglianza veniva affidata ad uno dei figli in quanto la mamma doveva occuparsi di lavori più impegnativi. Essendo fragile, anch'essa col tempo perdeva qualche manico, ma si continuava ad usare ancora, finchè non si rompeva in maniera inservibile.
Ad un lato della fornacella c'era una lastra di marmo di Carrara su cui era appoggiata la cannata. Questa veniva comprata a Pontecorvo, dove esisteva una lunga tradizione nel campo della terra cotta, in quanto c' era una cava di creta nelle vicinanze. Essa serviva da recipiente di acqua potabile nella casa ed era comoda per il trasporto dal pozzo alla cucina, perchè aveva due comodi manici per la presa, oltre ad un becco forato da cui fuoriusciva acqua a fontanella che per noi piccoli era un invito a bere direttamente da lì, ma senza farsi vedere perchè i genitori ci rimproveravano. Un difetto era ricorrente: essendo di fragile terracotta, uno dei manici si rompeva quasi sempre, ma ne restava uno e questo era sufficiente per tenerla ancora fino alla rottura definitiva.
Il riciclo c' era una volta
(l'acqua della pasta)
La corrente alle Valli arrivò negli anni Cinquanta. Prima si usava la candela a petrolio, che inquinava parecchio, ma costava poco: per evitare di affumicare la cucina ed i nostri nasi si metteva sotto il camino. Quando veniva qualche ospite di riguardo si usava il cero che costava di più, ma era più elegante, a volte se ne mettevano anche due per riguardo all' ospite. Quando arrivò la corrente i nostri impianti elettrici erano già pronti: si trattava degli interruttori fuori traccia e dei fili a piattine che venivano inchiodati al muro, le lampadine erano da cinque watt, le più piccole, ma per noi facevano una luce abbondante. La seconda cosa che facemmo subito fu la pompa elettrica per attingere l' acqua dal pozzo; gli altri elettrodomestici arrivarono più tardi.
I ragazzi di Valli dovevano andare a scuola con la bicicletta, non c' erano pulmini e i genitori non avevano mezzi.Insomma bisognava pedalare e questo creava problemi ai pantaloni: si consumavano nella parte dove il sedere poggiava sulla sella e non si potevano buttare solo per questo, quindi le mamme erano ormai molto pratiche nell' attaccare i fondelli che consistevano in una grossa toppa grande quanto il sedere. Questo era anche un segno discriminante e causa di una certa emarginazione, perchè da ciò si potevano riconoscere tutti i campagnoli che venivano presi in giro dai ragazzi di città.
Le strade non c' erano. D' estate si camminava bene sulla terra, magari col carretto, se uno ce l' aveva, ma d' inverno c' era poco da fare, quel tracciato diventava tutto fango e anche per andare a messa bisognava portarsi gli stivali che poi venivano cambiati nei pressi della chiesa con scarpe nuove. Allora a Valli si restava isolati, ma anche questo non era un problema tanto sentito, perchè la nostra economia di contadini era quasi del tutto autosufficiente, e poi, pur volendo comprare, non c' erano soldi (stiamo parlando del dopoguerra).Per le uscite necessarie si andava a piedi fino ad Aquino e poi si potevano prendere i mezzi.I bambini fino a dieci anni raramente uscivano, magari quando dovevano andare anch'essi al mercato a comprarsi le scarpe o qualche vestito, ma ciò avveniva raramente, perchè le scarpe dovevano bastare tre anni, quelle nuove, in quanto per casa si andava o scalzi, se d' estate, o si portavano gli scarponi di campagna fatti su misura dal calzolaio locale; riguardo ai vestiti, la maggior parte venivano confezionati dalle mamme.
Nella cucina c' era la fornacella che serviva per cuocere i cibi. Essa era fatta in muratura, aveva delle buche con delle griglie entro cui si mettevano i carboni ardenti che scaldavano le teglie di terracotta poste al di sopra. Le buche potevano essere tre o quattro a seconda di quanto fosse numerosa la famiglia, esse sfociavano nella parte anteriore fornita di portella che, se aperta mandava più aria e quindi aumentava il fuoco; questa serviva anche per asportare la cenere.
Il fuoco stava sempre acceso: di giorno serviva per cuocere i cibi, di sera serviva per dare caldo a tutta la famiglia che si riuniva attorno ad esso. La legna non era molta, perciò il fuoco non era mai tanto grande da scaldare bene l' ambiente, perciò ogni membro della famiglia allungava le gambe per scaldare bene almeno la punta dei piedi, poichè non ci si poteva avvicinare di più, perchè bisognava lasciare spazio anche agli altri che erano tanti. Vicino alla fiamma non mancava mai qualche pignata che, oltre a fornire acqua calda tutto il giorno, spesso conteneva i cibi da cuocere che potevano essere fagioli, verdure,cotiche, ecc,.Alla mattina la mamma si alzava presto per accendere il fuoco che serviva anche per fare l' orzo da unire ad un po' di latte per la colazione. Per il pranzo si metteva il treppiedi che serviva da sostegno per la pentola della pasta, quasi sempre fatta in casa. Il sugo si faceva cuocere sulla fornacella che veniva alimentata coi carboni prelevati dal fuoco la sera prima, al momento di andare a letto (il carbone si otteneva preservando la brace sotto la cenere o dentro un contenitore metallico chiuso).
Era un recipiente in rame che, riempito di brace, serviva per scaldare il letto prima di andare a coricarsi, quando nelle camere non c' era il riscaldamento.Si passava sotto le lenzuola strofinando varie volte e stando attenti a non far incendiare il letto.
Il campo di calcio
Nelle nostre campagne il campo non c'era ed allora veniva sostituito in estate con i campi pianeggianti di fieno o di grano e nella restante parte dell'anno con un querceto che non si trovava nella nostra contrada, pertanto si poteva usare solo quando c'era un incontro con i nostri confinanti di Traversa, una contrada di Pontecorvo, ma era un po' pericoloso, perchè, se si guardava il pallone, si rischiava di non vedere qualcuna delle querce secolari e di prendere un bernoccolo; altrimenti si giocava davanti alla chiesa locale, dov'era una piazzuola in erba, ma qui si doveva fare attenzione, perchè i nostri genitori ci avevano raccomandato di non calpestare una tomba in terra, segnalata da una pietra, dove, durante la guerra, era stato seppellito un abitante del posto.
Le scarpe da gioco
Nessuno aveva le scarpette, pertanto si doveva giocare con quelle che si avevano, ma era problematico perchè qualcuno addirittura non aveva nemmeno le scarpe per camminare e gli altri dovevano risparmiarsele, perchè dovevano durare tre anni. Comunque c'erano in campo tre tipi di scarpe: quelle da ginnastica da usare a scuola, ma pochi andavano a scuola dopo le elementari,perchè si sarebbe dovuti andare ad Aquino o Pontecorvo, a dieci km di distanza, su strade fangose e senza mezzi; quelle da cerimonia, nere lucide, che, una volta diventate vecchie, si usavano tutti i giorni (con queste si scivolava spesso sull'erba); quelle da lavoro, con i chiodi sotto (le "centrelle") e sembravano le migliori, perchè erano meno scivolose e spaventavano l'avversario per il fatto che alla punta della suola avevano un rinforzo in ferro che, se colpiva lo stinco, faceva molto male.
I morti
Subito dopo la guerra o durante, era difficile seppellire i morti. Non c’ erano le bare ed ogni familiare doveva costruirne una con del legno proveniente dalle proprie campagne, ma questo le rendeva molto approssimative e per niente stagne. Il trasporto al cimitero di Aquino avveniva a spalla, nei primi tempi, sopra una scala, successivamente sul carretto o carro trainato da animali, sia per mancanza di altri mezzi che per mancanza di strade. Ricordo che un signore morto durante la guerra, era stato seppellito nel campetto davanti la chiesa e noi quando giocavamo a pallone, in segno di rispetto, evitavamo di calpestare quella tomba.
I figli cadetti
Ai tempi dei nostri nonni esisteva ancora la regola che i figli cadetti (quelli nati dopo il primogenito) non dovessero sposarsi per evitare la dispersione dei beni. A tutti questi era consentito avere un'amante da ricompensare con qualche fetta di pane bianco o con del vino, ma non di più, "sarebbe andata a rischio la proprietà". Se il primogenito non aveva figli, allora era consentito al secondo di sposarsi ed avere degli eredi. Se un cadetto disobbediva alla regola, allora veniva emarginato dalla famiglia ed ostacolato nel ricevere la giusta eredità. Qualcuno si faceva prete. Stiamo parlando delle famiglie facoltose.
Pane bianco e pane rosso
Il pane bianco era un lusso che molti si potevano permettere solo fino a Natale, poi c'era il pane rosso che si otteneva dal granturco, ma era amaro e quindi piaceva poco ai bambini, per questo, quando si recavano con le mamme presso le famiglie dei benestanti, chiedevano il pane, sapendo che sarebbe stato bianco.
La famiglia estesa
La famiglia si riuniva tutta intorno al fuoco durante l' inverno. Essa era costituita da 4 o 5 figli minimo, i due genitori, i due nonni paterni e 3 o 4 fratelli non sposati del nonno a cui era proibito formare una propria famiglia, onde evitare la dispersione dei beni, ma era consentito avere un'amante. Alcune famiglie erano ancora più numerose perchè vi abitavano anche gli altri figli sposati del patriarca. Questa tipologia di famiglia apparteneva ai benestanti.
Erano i racconti dei nostri nonni. Quando ci recavamo da loro nelle sere d’ inverno, li pregavamo di raccontarci qualcuna delle loro favole: essi cominciavano, con la pipa in bocca ed il volto illuminato dal fuoco e le guance quasi trasparenti, con l’ immancabile “c’era una volta” e tutti facevamo silenzio. L’ atmosfera si presentava ideale, con una luce fioca generata dalla candela a petrolio che si trovava sotto il camino, perché faceva fumo, uno o due gatti che facevano le fusa sulle ginocchia di qualcuno e le donne più grandi che facevano la calza.
Mucche al pascolo
Era usanza collegare con un capestro la testa della mucca con la parte bassa della zampa in modo che durate il pascolo non potesse sfuggire al controllo di uno di noi (era di estrema importanza no danneggiare il raccolto del vicino.
Le cicale
Nell' immediato dopopranzo d'estate, mentre i genitori riposavano, aspettando che passasse la calura, alcuni ragazzini salivano sugli alberi, riuscivano a prendere qualche povera cicala e le infilavano nell' addome un filo d' erba in modo da divertirsi a vederla volare via con quella modifica personale. C' era sadismo, ma soprattutto incoscienza.
I falò

La fionda

Il trapano dell'ombrellaio
Il trapano dell'ombrellaio era somigliante ad una trottola con la punta che veniva fatta girare facendo su e giù con lo spago. La punta veniva ricavata da un pezzo di ferro d'ombrello appuntito che essendo acciaioso risultava molto resistente. Questo artigiano che passava per le case una o due volte all' anno in effetti riparava parecchi oggetti che si rompevano,ma non potevano essere buttati a causa della scarsità di denaro, in particolare questo trapano veniva usato per riunire i cocci di piatto rotto.
I pozzi tra i campi
Se passavi tra i campi nei pomeriggi d’ estate, spesso vedevi dei contadini che prelevavano l’ acqua per innaffiare l’ orto dai pozzi in uno strano modo: c’ era un altissimo palo conficcato nel terreno alla cui sommità era posto, a mo’ di bilancia, un altro lunghissimo palo, in posizione trasversale; il contadino manovrava un’ asta collegata a quest’ ultimo e alla cui estremità si trovava un secchio, mentre nella parte opposta c’ era un contrappeso che serviva ad alleggerire il peso dell’ acqua quando il contadino tirava su.
Era proibito giocare a pallone. I nostri genitori consideravano questo gioco deleterio per le nostre scarpe che quasi sempre si rompevano in quanto non erano adatte a quell'uso... e poi era da" figli poco responsabili perdere tempo a giocare" anziché fare qualcosa di utile,quindi spesso ci toccava giocare mentre pascolavamo il bestiame, causando qualche danno ai raccolti dei confinanti. Infatti il gioco nel dialetto si chiamava "pazzia" che aveva dato luogo al verbo "pazziare". Ricordo che gli anziani frequentatori della locale chiesa, nel lavoro di restauro, erano riusciti a far inserire fra il nuovo intonaco una targa in marmo con la scritta "vietato giocare a pallone!" onde evitare la rottura dei vetri.
Le streghe
Si raccontava che fossero delle donne che durante la notte andavano in giro ad intrecciare le criniere dei cavalli. Per evitare ciò bisognava mettere dietro le porte scope o sacchi di sale, in modo che se qualche strega fosse entrata in casa, prima di agire, doveva contare tutti i granelli di sale, oppure tutte le fibre delle scope. Questo serviva a far distrarre la strega fino all’alba, momento in cui perdevano potere. Inoltre, chi era curioso di vedere una strega o janara poteva farlo nella notte della festa di San Giovanni: bastava mettersi sui “crocicchi” (dei luoghi angusti) e appoggiare il mento su una forca. Se ci si accorgeva improvvisamente di essere “in compagnia” di una janara, bisognava incrociare le gambe e dire: “Oggi è sabato a casa mia” oppure bisognava prenderla per i capelli e dire: “Tengo ferro”.Un signore che aveva un carro con cui trasportava, avanti ed indietro, la gente,raccontava che una mattina, entrando nella stalla, trovò le criniere del cavallo tutte intrecciate, si chiese chi fosse mai stato e sciolse pazientemente le treccine. La mattina seguente, trovando la stessa cosa, si recò dal compare e questi gli disse che sicuramente era opera di una strega, perché solo una strega avrebbe potuto fare quel lavoro in una sola notte: "Va di notte nella stalla e nasconditi - gli consigliò- vedrai che comparirà un gatto": lo prendi per la coda e ti troverai in mano, non la coda, ma i capelli di una donna. Quando lei ti chiederà cosa sono questi, tu non dire che sono capelli, ma dì un'altra cosa, in questa maniera la catturerai. Egli fa quello che il compare gli aveva detto, e si nasconde sotto la paglia, aspettando la mezzanotte. Puntualmente, a mezzanotte, arrivò il gatto ed appena l'uomo lo afferrò per la coda, si ritrovò in mano dei capelli. Il gatto subito gli chiese: 'Che cosa sono questi?' e lui pronto rispose:
Le sorgenti o polle
Alle Valli d’Aquino ogni contadino aveva la sua sorgente d’ acqua che usava per l’ orto, naturalmente bisognava scendere ai piedi delle colline dove il fenomeno era abbastanza consueto. Se ti trovavi a pascolare il bestiame da quelle parti, nel pomeriggio, vedevi una persona in mezzo ad un campo di pomodori che con la zappa guidava l’ acqua tra i solchi: essa proveniva da una pozza che in due o tre giorni si era riempita con l’ acqua della sorgente. Alcune di queste erano particolarmente apprezzate per chi voleva dissetarsi, anzi alcuni contadini lasciavano sul posto anche un bicchiere per loro e per i passanti. Quando non si aveva un bicchiere, si potevano usare delle grosse foglie d’ acqua a mo’ di bicchiere o le mani congiunte. Ora queste risorgive sono scomparse a causa dei sopravvenuti trattori che con i loro aratri profondi hanno interrotto le loro vene.
La messa domenicale
Era un grande sacrificio la domenica mattina, alle otto, andare a messa, ma i fedeli dovevano andare al mercato ad Aquino per vendere i loro prodotti agricoli e non potevano fare tardi, quindi il prete, don Leonida, era venuto incontro a tali esigenze anticipando la messa. Ma per noi studenti era l' unico giorno che ci consentiva di stare un po' più a letto la mattina, gli altri giorni si doveva partire presto per la scuola e questo era doloroso, ma si aveva paura dell' Inferno.
I mulini ad acqua sulla Forma
Ne ricordo 4 : due erano dei Pelagalli e si trovavano nei pressi di Aquino, di uno resta ancora l' edificio all' inizio del Vallone, sotto la strada; un altro era quello di Luigi Ferdinandi, a Castelluccio; il quarto si trovava tra Ravano e S. Giorgio, non ho mai conosciuto la posizione esatta.
I mulini ad acqua sulla Forma
Ne ricordo 4 : due erano dei Pelagalli e si trovavano nei pressi di Aquino, di uno resta ancora l' edificio all' inizio del Vallone, sotto la strada; un altro era quello di Luigi Ferdinandi, a Castelluccio; il quarto si trovava tra Ravano e S. Giorgio, non ho mai conosciuto la posizione esatta.