Italiano Temi Esame di Stato 2007
Tracce Italiano 1^ Prova - Maturità
Istruzione Secondaria Superiore - Per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A | ANALISI DEL TESTO |
Dante Alighieri, Paradiso, canto XI, versi 43-63 e 73-87: nel cielo del Sole Dante incontra san Tommaso d’Aquino, che gli narra la vita di san Francesco e ne esalta l’opera.
43 | «Intra Tupino e l’acqua che discende | Intra Tupino …Nocera con Gualdo: ampia descrizione del territorio, tra i fiumi Topino e Chiascio, il monte Subasio (scelto come luogo di eremitaggio dal beato Ubaldo), Perugia, Nocera e Gualdo, al centro del quale sorge Assisi, città natale di san Francesco |
44 | del colle eletto dal beato Ubaldo | |
45 | fertile costa d’alto monte pende, | |
46 | onde Perugia sente freddo e caldo | |
47 | da Porta Sole; e di rietro le piange | |
48 | per grave giogo Nocera con Gualdo. | |
49 | Di questa costa, là dov’ella frange | |
50 | più sua rattezza, nacque al mondo un sole, | un sole, / come fa questo talvolta di Gange: nacque un essere umano pieno di luce e calore, come talvolta ci appare il vero sole appena sorto in Oriente (dalle parti del fiume Gange) |
51 | come fa questo talvolta di Gange. | |
52 | Però chi d’esso loco fa parole, | Però: perciò |
53 | non dica Ascesi, ché direbbe corto, | Ascesi: forma locale antica del nome di Assisi |
54 | ma Orïente, se proprio dir vuole. | |
55 | Non era ancor molto lontan da l’orto, | l’orto: la nascita (dal latino ortus) |
56 | ch’el cominciò a far sentir la terra | la terra: al mondo |
57 | de la sua gran virtute ogni conforto; | |
58 | ché per tal donna, giovinetto, in guerra | per tal donna…a cui,…la porta del piacer nessun diserra: venne in lite con suo padre a causa di una donna alla quale, come alla morte, nessuno apre volentieri la porta |
59 | del padre corse, a cui, come a la morte, | |
60 | la porta del piacer nessun diserra; | |
61 | e dinanzi a la sua spirital corte | spirital corte et coram patre: davanti alla corte ecclesiastica (il vescovo e il clero) e in presenza del padre |
62 | et coram patre le si fece unito; | |
63 | poscia di dì in dì l’amò più forte. | |
73 | Ma perch’io non proceda troppo chiuso | |
74 | Francesco e Povertà per questi amanti | |
75 | Prendi oramai nel mio parlar diffuso. | |
76 | La lor concordia e i lor lieti sembianti, | |
77 | amore e maraviglia e dolce sguardo | |
78 | facìeno esser cagion di pensier santi; | facìeno esser cagion di pensier santi: facevano nascere santi pensieri in altre persone |
79 | tanto che ’l venerabile Bernardo | venerabile Bernardo: Bernardo d’Assisi, primo seguace di san Francesco, e quindi primo a vestire come lui, che, imitando gli Apostoli, camminava scalzo |
80 | si scalzò prima, e dietro a tanta pace | |
81 | corse e, correndo, li parve esser tardo. | |
82 | Oh ignota ricchezza! Oh ben ferace! | |
83 | Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro | Egidio … Silvestro: anche loro di Assisi e tra i primi seguaci del santo |
84 | dietro a lo sposo, sì la sposa piace. | |
85 | Indi sen va quel padre e quel maestro | Indi sen va: allude agli incontri con i pontefici per ottenerne l’approvazione, e alle future predicazioni di Francesco e dei seguaci in Italia e fuori |
86 | con la sua donna e con quella famiglia | |
87 | che già legava l’umile capestro» | che già legava l’umile capestro: già si cingeva con il rozzo cordone sulla tonaca, tipico dell’Ordine francescano |
Nel quarto cielo, quello del Sole, Dante, guidato sempre da Beatrice, ha incontrato una corona di dodici «fulgori», che sono le anime di altrettanti celebri sostenitori della fede religiosa. Uno di questi, san Tommaso d’Aquino, gli descrive in particolare le figure di san Francesco di Assisi, fondatore dell’Ordine dei Francescani, e san Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Domenicani: l’uno e l’altro Ordine di fondamentale importanza nella storia della Chiesa a partire dal secolo XIII. La figura del primo viene presentata, nel discorso di san Tommaso, attraverso una distesa descrizione realistica dei suoi luoghi di origine e una precisa ricostruzione della sua vicenda biografica: giovanetto e figlio di un mercante, rifiutò l’agiatezza della famiglia e pubblicamente, davanti al vescovo della sua città, si spogliò di tutti i beni e dei vestiti per fare voto di povertà e in questo modo subito attrasse a sé altri giovani. Era nato così l’Ordine dei frati francescani, riconosciuto poi dall’autorità papale.
1. Comprensione del testo
Individua nei versi riportati le tre parti della ricostruzione dell’evento: l’ambiente geografico, la scena iniziale della dedizione di Francesco alla vita religiosa, l’effetto di trascinamento sugli altri. Fai una parafrasi distinta delle tre parti, in non più di 20 righe complessive.
2. Analisi del testo
2.1. Anche senza dare una precisa spiegazione della descrizione topografica dei versi 43-51, rileva nell’insieme e commenta, per il suo effetto di plasticità e di realismo paesaggistico, la frequenza dei nomi di luogo e dei termini geografici e climatici.
2.2. Per Perugia si nomina, al v. 47, la Porta Sole, così detta perché rivolta a Levante, da dove entrava in città sia il freddo (proveniente dalle vicine montagne nevose d’inverno), sia il caldo (al sorgere del sole). Il sole richiama il vero Oriente geografico (specificato mediante il nome del grande fiume indiano, il Gange) e diventa anche simbolo per indicare la figura del santo, che «nacque al mondo» proprio come un sole. Commenta questo passaggio da una scena di ambiente naturale all’immissione di elementi simbolici.
2.3. Interpreta letteralmente l’espressione dei versi 49-50 «questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza», con la quale si indica la posizione topografica di Assisi.
2.4. Dante usa la forma locale antica del nome di Assisi, cioè «Ascesi». In questo modo, può ricavare dal nome un significato allegorico, derivato da un verbo e da un sostantivo che si adattano chiaramente ai valori della vita del santo: quale verbo e quale sostantivo?
2.5. Nei versi da 58 fino alla fine la scelta della povertà come ideale di vita viene illustrata ripetutamente con una terminologia particolare: individuala e commentala.
2.6. L’ardore ascetico genera anche foga e concitazione di movimenti. In quali versi e con quali termini Dante descrive questo effetto, generato nei seguaci dall’esempio di Francesco? Bada anche al ritmo di alcuni versi e alla presenza di esclamazioni.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
Nella ricostruzione della vicenda di san Francesco, Dante ha condensato un ampio capitolo di storia religiosa del nostro Medioevo. Né va dimenticato che il poeta ha messo questa ricostruzione in parallelo a quella dell’opera di san Domenico, altro campione di quella storia, e che tutto l’episodio è affidato alle parole di san Tommaso, massimo teologo dell’epoca. Attraverso queste veloci scene ideate dalla sua fantasia, Dante evoca importanti questioni di assetto che andava assumendo al suo tempo la struttura della Chiesa, bisognosa di organismi controllati da regole. Richiamandoti anche, se lo ritieni, ad illustrazioni figurative del santo, che ricordi, esprimi le tue considerazioni sull’importanza degli ordini religiosi, francescano e domenicano, nella storia della Chiesa e nella diffusione del messaggio evangelico nel mondo.
TIPOLOGIA B | Redazione di un "SAGGIO BREVE" o di un "ARTICOLO DI GIORNALE |
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CONSEGNE
Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specificotitolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’.
Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: I luoghi dell’anima nella tradizione artistico-letteraria.DOCUMENTI
Chiare, fresche e dolci acque, | date udïenza insieme |
ove le belle membra | a le dolenti mie parole estreme. |
pose colei che sola a me par donna; | - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - |
gentil ramo ove piacque | La morte fia men cruda |
(con sospir mi rimembra) | se questa spene porto |
a lei di fare al bel fianco colonna; | a quel dubbioso passo: |
erba e fior che la gonna | ché lo spirito lasso |
leggiadra ricoverse | non poria mai in piú riposato porto |
co l’angelico seno; | né in piú tranquilla fossa |
aere sacro, sereno, | fuggir la carne travagliata e l’ossa. |
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: | F. PETRARCA, Il Canzoniere, CXXVI, 1345 |
Romeo: Non esiste mondo fuori delle mura di Verona: non c’è che purgatorio, supplizio, l’inferno stesso.
Essere esiliato di qui, vuol dire essere esiliato dal mondo e l’esilio dal mondo è la morte: l'esilio è dunque una morte sotto falso nome.
W. SHAKESPEARE, Giulietta e Romeo, atto III, scena III
Te beata, gridai, per le felici | désti a quel dolce di Calliope labbro |
aure pregne di vita, e pe' lavacri | che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma |
che da' suoi gioghi a te versa Apennino! | d'un velo candidissimo adornando, |
Lieta dell'aer tuo veste la Luna | rendea nel grembo a Venere Celeste; |
di luce limpidissima i tuoi colli | ma piú beata che in un tempio accolte |
per vendemmia festanti, e le convalli | serbi l'itale glorie, uniche forse |
popolate di case e d'oliveti | da che le mal vietate Alpi e l'alterna |
mille di fiori al ciel mandano incensi: | onnipotenza delle umane sorti |
e tu prima, Firenze, udivi il carme | armi e sostanze t' invadeano ed are |
che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco, | e patria e, tranne la memoria, tutto. |
e tu i cari parenti e l'idïoma | U. FOSCOLO, I Sepolcri, 1806 |
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, | odo stormir tra queste piante, io quello |
e questa siepe, che da tanta parte | infinito silenzio a questa voce |
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. | vo comparando: e mi sovvien l'eterno, |
Ma sedendo e mirando, interminati | e le morte stagioni, e la presente |
spazi di là da quella, e sovrumani | e viva, e il suon di lei. Così tra questa |
silenzi, e profondissima quïete | immensità s'annega il pensier mio: |
io nel pensier mi fingo, ove per poco | e il naufragar m'è dolce in questo mare. |
il cor non si spaura. E come il vento | G. LEOPARDI, L’Infinito, dai «Canti», 1819 |
«Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore…Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!»
A. MANZONI, I promessi sposi, VIII, 1840
Sempre un villaggio, sempre una campagna | Là nelle stoppie dove singhiozzando |
mi ride al cuore (o piange), Severino: | va la tacchina con l'altrui covata, |
il paese ove, andando, ci accompagna | presso gli stagni lustreggianti, quando |
l'azzurra vision di San Marino: | lenta vi guazza l'anatra iridata, |
sempre mi torna al cuore il mio paese | oh! fossi io teco; e perderci nel verde, |
cui regnarono Guidi e Malatesta, | e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie, |
cui tenne pure il Passator cortese, | gettarci l'urlo che lungi si perde |
re della strada, re della foresta. | dentro il meridiano ozio dell'aie; …………………………………… G. PASCOLI, Myricae, 1882 |
«…si udiva il mare che russava lì vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto sbuffava, come uno che si volti e rivolti pel letto…. Le stelle ammiccavano più forte, quasi s'accendessero, e i Tre Re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce, come Sant'Andrea. Il mare russava in fondo alla stradicciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore di qualche carro che passava nel buio, sobbalzando sui sassi, e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte, non arriverebbe mai, e c'era pure della gente che andava pel mondo a quell'ora, e non sapeva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti; così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno.»
G. VERGA, da I Malavoglia, 1881
Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto. | Giovinetti amici, più belli d’Alessandro e d’Eurialo, |
per sempre belli, difendono il sonno del mio ragazzo. | |
E non sarà mai rubato quest’unico tesoro | L’insegna paurosa non varcherà mai la soglia |
ai tuoi gelosi occhi dormienti. | di quella isoletta celeste. |
Il tuo primo amore non sarà mai violato. | |
E tu non saprai la legge | |
Virginea s’è rinchiusa nella notte | ch’io, come tanti, imparo, |
come una zingarella nel suo scialle nero. | - e a me ha spezzato il cuore: |
Stella sospesa nel cielo boreale | fuori del limbo non v’è eliso. |
eterna: non la tocca nessuna insidia. |
«Faceva un caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo. Era come una mano di colore data sul venticello, sui muri gialletti della borgata, sui prati, sui carretti, sugli autobus coi grappoli agli sportelli. Una mano di colore ch’era tutta l’allegria e la miseria delle notti d’estate del presente e del passato. L’aria era tirata e ronzante come la pelle di un tamburo…Tutto un gran accerchiamento intorno a Roma,…ma pure dentro Roma, nel centro della città, magari sotto il Cupolone: sì proprio sotto il Cupolone, che bastava mettere il naso fuori dal colonnato di Piazza San Pietro, verso Porta Cavalleggeri, e èccheli llì, a gridare, a prender d’aceto, a sfottere, in bande e in ghenghe intorno ai cinemetti, alle pizzerie, sparpagliati poco più in là, in via del Gelsomino, in via della Cava, sugli spiazzi di terra battuta delimitata dai mucchi di rifiuti dove i ragazzini di giorno giocano a palla.»
P. P. PASOLINI, Ragazzi di vita, 1955
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, | uno morì in prigione, | |
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso? | uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari - | |
Tutti, tutti, dormono sulla collina. | tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. | |
Uno trapassò in una febbre, | ||
Uno fu arso nella miniera, | ||
Uno fu ucciso in rissa, | E. L. MASTERS, La collina, dall’«Antologia di Spoon River», trad. F. Pivano, 1943 |
Marc CHAGALL, Il violinista sul tetto, 1912 Vitebsk, che compare sullo sfondo, è il villaggio natale di Chagall, il “luogo dell’anima” a cui il pittore fa riferimento in tutta la sua esperienza di vita, anche nel fortunatissimo periodo parigino. Il violinista sul tetto suggerisce la condizione dell’Ebreo nel mondo, instabile come quella di un musicista che cerca di suonare il suo strumento restando in equilibrio in cima ad una casa. |
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2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: Alle basi della convivenza civile e dell’esercizio del potere: giustizia, diritto, legalità.DOCUMENTI
«…l’uomo solo, tra gli animali, ha la parola:…la parola è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l’ingiusto: questo è, infatti, proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori: il possesso comune di questi costituisce la famiglia e lo stato…quand’è perfetto, l’uomo è la migliore delle creature, così pure, quando si stacca dalla legge e dalla giustizia, è la peggiore di tutte…Ora la giustizia è elemento dello stato; infatti il diritto è il principio ordinatore della comunità statale e la giustizia è determinazione di ciò che è giusto.»ARISTOTELE, Politica, I, Cap.1,2
«Osservate che la parola diritto non è contraddittoria alla parola forza, ma la prima è piuttosto una modificazione della seconda, cioè la modificazione più utile al maggior numero. E per giustizia io non intendo altro che il vincolo necessario per tenere uniti gl’interessi particolari, che senz’esso si scioglierebbono nell’antico stato d’insociabilità; tutte le pene che oltrepassano la necessità di conservare questo vincolo sono ingiuste di lor natura. Bisogna guardarsi di non attaccare a questa parola giustizia l’idea di qualche cosa di reale, come di una forza fisica, o di un essere esistente; ella è una semplice maniera di concepire degli uomini, maniera che influisce infinitamente sulla felicità di ciascuno; nemmeno intendo quell’altra sorta di giustizia che è emanata da Dio e che ha i suoi immediati rapporti colle pene e ricompense della vita avvenire.»
C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Cap. II, 1764
«Chi richiede una definizione della giustizia cerca di solito un concetto normativo, ossia un criterio che sia utile a distinguere il giusto dall’ingiusto. Per definire un tale concetto è possibile innanzi tutto riallacciarsi alle opinioni correnti. Questo modo di procedere…si trova però dinanzi a una difficoltà: le opinioni su ciò che è giusto o ingiusto divergono ampiamente…limitandosi ai giudizi di giustizia ben ponderati, si osserva che sul piano dei fondamenti, sul piano dei principi della giustizia, si danno palesi divergenze di opinione. “A ognuno secondo le sue prestazioni”, afferma il liberalismo economico; “a ognuno secondo i suoi diritti legali”, si dice nello stato di diritto; “a ognuno secondo i suoi meriti”, si dice in molte aristocrazie; e il socialismo esige che si dia “a ognuno secondo i suoi bisogni”.»
O. HÖFFE, Giustizia politica, Bologna, 1995
«La domanda che ora dobbiamo porci è: ci sono principi chiari in base ai quali possiamo stabilire una distribuzione idealmente giusta dei diritti e dei privilegi, degli oneri e dei dolori, da assegnare agli esseri umani in quanto tali? C’è una posizione ampiamente diffusa secondo cui per rendere giusta una società si devono concedere certi diritti naturali a tutti i membri della comunità, e il diritto positivo deve come minimo incorporare e proteggere questi diritti, indipendentemente da quali altre regole esso possa poi contenere. Ma è difficile individuare nel senso comune il consenso sull’elenco preciso di questi diritti naturali, e ancor meno chiari sono quei principi da cui è possibile dedurli in modo sistematico.»
H. SIDGWICK, I Metodi dell’etica, Milano, 1995
«La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste. Ogni persona possiede un’inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri…Di conseguenza, in una società giusta sono date per scontate eguali libertà di cittadinanza; i diritti garantiti dalla giustizia non possono essere oggetto né della contrattazione politica, né del calcolo degli interessi sociali…un’ingiustizia è tollerabile solo quando è necessaria per evitarne una ancora maggiore. Poiché la verità e la giustizia sono le virtù principali delle attività umane, esse non possono essere soggette a compromessi.»
J. RAWLS, Una teoria della giustizia, Milano, 1982
«Che l’idea di giustizia non si esaurisca nel fatto storico o positivo, ci è dimostrato dal suo perpetuo rinascere nella coscienza come esigenza assoluta…Senza cotesta vocazione e attività inesausta della coscienza, neppure si spiegherebbe la vita storica del diritto; poiché appunto da quella attitudine originaria ed insopprimibile dipende il plasmarsi e riplasmarsi continuo dei rapporti sociali e delle regole che li dominano…Chi viola leggermente le leggi scuote le basi stesse della vita civile, e vulnera le condizioni dalle quali dipende la rispettabilità della sua persona. Ma il culto della giustizia non consiste solo nell’osservanza della legalità, né vuole esser confuso con essa. Non coll’adagiarci supinamente nell’ordine stabilito, né coll’attendere inerti che la giustizia cada dall’alto, noi rispondiamo veramente alla vocazione della nostra coscienza giuridica. Questa vocazione c’impone una partecipazione attiva e indefessa all’eterno dramma, che ha per teatro la storia, e per tema il contrasto tra il bene e il male, tra il diritto e il torto. Noi non dobbiamo solo obbedire alle leggi, ma anche vivificarle e cooperare al loro rinnovamento…Chi dice giustizia, dice subordinazione ad una gerarchia di valori; e nulla è più contrario a un tale principio che l’arbitraria rimozione dei limiti che separano il lecito dall’illecito, il merito dal demerito…Solo la giustizia risplende, guida sicura, sul vario tumulto delle passioni…Senza di essa, né la vita sarebbe possibile, né, se anche fosse, meriterebbe di essere vissuta.»
G. DEL VECCHIO, La Giustizia, Roma, 1959
«B...In una qualsiasi società, e dunque anche in una società democratica, la funzione fondamentale del diritto è quella di stabilire le regole dell’uso della forza. Le regole dell’uso della forza vuol dire: chi deve esercitare l’uso della forza (non chiunque, ma solo coloro che sono autorizzati ad esercitarla); come (con un giudizio regolato); quando (non in un qualsiasi momento, ma quando sono state completate le procedure definite dalla legge); quanto (non puoi punire un furtarello nello stesso modo in cui punisci un omicidio). In uno Stato di diritto una delle grandi funzioni delle leggi è quella di stabilire come deve essere usato il monopolio della forza legittima che lo Stato detiene.»
N. BOBBIO e M. VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Roma – Bari, 2001
3. AMBITO STORICO - POLITICO
ARGOMENTO: La nascita della Costituzione repubblicana: il laborioso cammino dalla dittatura ad una partecipazione politica compiuta nell’Italia democratica.DOCUMENTI
«Il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe, come gli antifascisti avevano previsto. Ma la resistenza, contrariamente alle loro speranze, non fu una palingenesi. Non occorsero molti mesi...per accorgersi che il fascismo, nonostante la guerra sanguinosa che aveva scatenato, era stato una lunga parentesi, chiusa la quale la storia sarebbe cominciata più o meno al punto in cui la parentesi era stata aperta…La Resistenza non fu una rivoluzione e tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana: rappresentò puramente e semplicemente la fine violenta del fascismo e servì a costruire più rapidamente il ponte tra l’età postfascista e l’età prefascista, a ristabilire la continuità tra l’Italia di ieri e quella di domani.»N. BOBBIO, Profilo ideologico del Novecento, Milano, 1993
«…Lo Statuto albertino fu fatto in un mese, dal 3 febbraio al 4 marzo 1848…fu una carta elargita da un sovrano il quale sapeva fino a che punto voleva arrivare; i suoi collaboratori, coloro che furono incaricati da lui di redigere quello Statuto, sapevano perfettamente quello che il sovrano voleva: non avevano da far altro che tradurre in articoli di legge le istruzioni già dosate da quell’unica volontà di cui lo Statuto doveva essere espressione… invece qui, in questa assemblea, non c’è una sola volontà, ma centinaia di libere volontà, raggruppate in diecine di tendenze, le quali non sono d’accordo su quello che debba essere in molti punti il contenuto di questa nostra carta costituzionale; sicché essere riusciti, nonostante questo, a mettere insieme, dopo otto mesi di lavoro assiduo e diligente, questo progetto, è già una grande prova, molto superiore a quella che fu data dai collaboratori di Carlo Alberto, in quel mese di lavoro semplice e tranquillo...È molto semplice, quando è avvenuto un rinnovamento fondamentale, una rivoluzione, insomma, di carattere sociale, in cui le nuove istituzioni sociali vivono già nella realtà, in cui la nuova classe dirigente è già al suo posto, prendere atto di questa realtà e tradurre in formule giuridiche questa realtà… Noi invece ci troviamo qui non ad un epilogo, ma ad un inizio. La nostra rivoluzione ha fatto una sola tappa, che è quella della repubblica; ma il resto è tutto da fare, è tutto nell’avvenire.»
P. CALAMANDREI, Discorso all’ Assemblea Costituente del 4 marzo 1947
«Nel corso del dibattito per la elaborazione della costituzione fu assai discusso il problema del rapporto che sarebbe dovuto intercorrere tra la nuova carta costituzionale e la società italiana:… da varie parti venne sottolineato come le nuove costituzioni tendano a codificare gli effetti di profondi sconvolgimenti sociali, generalmente conseguenti a rivoluzioni e come questo non fosse il caso dell’Italia postbellica. In tali condizioni, la costituzione non poteva non avere un carattere composito ed eterogeneo ed anche, per taluni aspetti, necessariamente programmatico… la più importante novità dell’Italia repubblicana rispetto a tutta la precedente storia unitaria consist(e) proprio nell’accordo su di un metodo di lotta politica e su alcuni principî generali, riassumibili nell’antifascismo, tra i partiti, e in modo particolare tra i partiti di massa. Ed è all’interno di questo quadro che dovranno essere viste non solo le trasformazioni strutturali veramente imponenti della società italiana nel secondo dopoguerra, ma anche la crescita civile realizzata attraverso la partecipazione dei cittadini, in quanto lavoratori, alla formazione della volontà generale.»
E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in “Storia d’Italia”, Einaudi, Vol. IV***, Torino, 1972
«Nell’Italia del dopoguerra non vi erano le premesse reali di una democrazia fondata sulle autonomie e su un diffuso autogoverno; le intuizioni acute e generose in questo senso di ristrette élites intellettuali e politiche non potevano certo riempire il vuoto di una evoluzione secolare di segno opposto. Le ricerche fatte sull’area culturale liberal-democratica sono molto esplicite nel riconoscere il carattere élitario e perfino accademico di quegli apporti, per giunta profondamente divisi fra tradizioni diverse;…Oggi avvertiamo che la società politica è più ampia e più ricca della società partitica: avvertiamo che le grandi manifestazioni che riempiono le piazze, in cui si realizza ancora il magico rapporto di immedesimazione delle grandi masse con i capi carismatici – i capi e non più il capo, per fortuna – non esauriscono la domanda di partecipazione politica di cui il paese è capace… La partecipazione delle classi lavoratrici alla vita dello Stato, che è condizione essenziale della democrazia, non si esprime meccanicamente e stabilmente nei governi di unità popolare:… può benissimo esprimersi nelle forme dell’alternanza classica al potere di partiti che rappresentino forze sociali e tradizioni diverse. Ma le condizioni di questa alternanza in Italia non c’erano prima del fascismo e non sono state create nel breve periodo della collaborazione dei partiti antifascisti:…Non si può dunque considerare l’esito della fase costituente, per quanto riguarda gli equilibri politici, come la realizzazione di un modello.»
P. SCOPPOLA, Gli anni della Costituente, fra politica e storia, Bologna, 1980
«Se seguiamo il cammino percorso dai diritti di libertà, dalle prime «dichiarazioni» americane e francesi, fino alle formulazioni legislative ch’essi hanno avuto nelle più recenti costituzioni europee, assistiamo a un processo graduale di arricchimento e di specificazione di queste libertà: la tendenza della personalità umana ad espandersi nella vita politica, che inizialmente sembrava soddisfatta da poche libertà essenziali, sente il bisogno di conquistare sempre nuove libertà o di precisare sempre meglio quelle già ottenute, via via che le forze sociali oppongono in nuove direzioni nuovi ostacoli alla sua espansione. L’elenco dei diritti di libertà è pertanto un elenco aperto… Il cammino dei diritti di libertà si identifica col cammino della civiltà. Come è potuto dunque avvenire che questo movimento secolare di arricchimento spirituale della persona umana, e insieme di partecipazione sempre più attiva del cittadino alla vita sociale, abbia subìto nell’ultimo ventennio, più che un arresto, un brusco regresso, proprio quando pareva che alla fine della prima guerra mondiale esso avesse conquistato il mondo?»
P. CALAMANDREI, Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Firenze, ottobre 1945
4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO
ARGOMENTO: «Sensate esperienze» e «dimostrazioni certe»: la nascita della scienza moderna.DOCUMENTI
«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.»G. GALILEI, Il Saggiatore, 1623
«Siamo in uno dei grandi momenti dello spirito umano. Galileo scopre le immense possibilità offerte dalla modellizzazione matematica della realtà fisica, traducendo la sua meraviglia in queste frasi rimaste celebri [quelle riportate nel brano precedente]. Il fatto che la natura si esprima in linguaggio matematico, o, per utilizzare termini meno immaginosi, che concetti matematici collegati tramite equazioni e calcoli possano permettere di riprodurre e di prevedere il comportamento di oggetti fisici nel mondo reale resta ancor oggi, quattro secoli dopo Galileo, una fonte inesauribile di stupore…»
I. EKELAND, Il migliore dei mondi possibili. Matematica e destino, Torino, 2001
«I tentativi intesi a decifrare il grande romanzo giallo della natura sono altrettanto antichi quanto il pensiero umano. Tuttavia sono trascorsi appena più di trecento anni dacché gli scienziati cominciarono a comprendere il linguaggio in cui quel romanzo è scritto. Da allora in poi, dall’epoca cioè di Galileo e di Newton, la sua lettura ha proceduto speditamente. Mezzi e metodi d’indagine, volti a scoprire e a seguire nuovi indizi, vennero sempre più accresciuti e perfezionati. Fu così possibile risolvere alcuni degli enigmi della natura; tuttavia in non pochi casi le soluzioni proposte inizialmente sono apparse effimere e superficiali, alla luce di ulteriori indagini.»
A. EINSTEIN e L. INFELD, L’evoluzione della fisica, 1938
«Il progresso della civiltà non presenta una spinta uniforme verso le cose migliori…Le epoche nuove emergono relativamente improvvise, se consideriamo i millenni che la storia percorre…Il sedicesimo secolo della nostra era ha visto la scissione della cristianità dell’Occidente e l’avvento della scienza moderna…La Riforma fu un’insurrezione popolare e, per un secolo e mezzo, immerse l’Europa nel sangue. L’inizio del movimento scientifico non interessò invece che una minoranza dell’aristocrazia intellettuale…La tesi che intendo sviluppare è che il calmo sviluppo della scienza ha virtualmente dato un nuovo stile alla nostra mentalità, così che modi di pensare eccezionali in altri tempi sono ora diffusi in tutto il mondo civile. Ma il nuovo stile ha dovuto progredire lentamente per vari secoli tra i popoli europei prima di sbocciare nel rapido sviluppo della scienza, che quindi, con le sue sempre più esplicite applicazioni, lo ha ulteriormente consolidato…Questa nuova sfumatura dello spirito moderno sta appunto nell’interesse appassionato e risoluto nel ricercare le relazioni tra i princìpi generali e i fatti irriducibili e ostinati. Nel mondo intero e in tutte le epoche sono esistiti uomini di mentalità pratica, occupati nell’osservazione di tali fatti; nel mondo intero e in tutte le epoche vi sono stati uomini di temperamento filosofico intenti a tessere la trama dei princìpi generali.
È proprio dall’unione dell’interesse appassionato per i particolari materiali con una non minor passione per le generalizzazioni astratte che scaturisce la novità caratteristica della nostra attuale società…Questo equilibrio dello spirito è ormai diventato una tradizione che caratterizza il pensiero colto. È il sale, il sapore della vita…L’altra caratteristica che distingue la scienza…è la sua universalità. La scienza moderna è nata in Europa, ma il suo ambiente naturale è il mondo intero.»
A. N. WHITEHEAD, La scienza e il mondo moderno, 1926
«…fare della fisica nel nostro senso del termine…vuol dire applicare al reale le nozioni rigide, esatte e precise della
matematica e, in primo luogo, della geometria. Impresa paradossale, se mai ve ne furono, poiché la realtà, quella della vita quotidiana in mezzo alla quale viviamo e stiamo, non è matematica…Ne risulta che volere applicare la matematica allo studio della natura è commettere un errore e un controsenso. Nella natura non ci sono cerchi, ellissi, linee rette. È ridicolo voler misurare con esattezza le dimensioni di un essere naturale: il cavallo è senza dubbio più grande del cane e più piccolo dell’elefante, ma né il cane, né il cavallo, né l’elefante hanno dimensioni strettamente e rigidamente determinate: c’è dovunque un margine di imprecisione, di “giuoco”, di “più o meno”, di “pressappoco”…Ora è attraverso lo strumento di misura che l’idea dell’esattezza prende possesso di questo mondo e che il mondo della precisione arriva a sostituirsi al mondo del “pressappoco”.»
A. KOYRÉ, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, 1967
«L’interrogazione della natura ha preso le forme più disparate…La scienza moderna è basata sulla scoperta di una forma nuova e specifica di comunicazione con la natura, vale a dire, sulla convinzione che la natura risponde veramente all’interrogazione sperimentale…In effetti, la sperimentazione non vuol dire solo fedele osservazione dei fatti così come accadono e nemmeno semplice ricerca di connessioni empiriche tra i fenomeni, ma presuppone un’interazione sistematica tra concetti teorici e osservazione…Arriviamo così a ciò che costituisce secondo noi la singolarità della scienza moderna: l’incontro fra tecnica e teoria…Il dialogo sperimentale con la natura, che la scienza moderna ha scoperto, non suppone un’osservazione passiva, ma una pratica. Si tratta di manipolare, di «fare una sceneggiatura» della realtà fisica, per conferirle un’approssimazione ottimale nei confronti di una descrizione teorica…La relazione fra esperienza e teoria viene dunque dal fatto che l’esperimento sottomette i processi naturali a un interrogatorio che acquista significato solo se riferito a un’ipotesi concernente i principî ai quali tali processi sono assoggettati.»
I. PRIGOGINE e I. STENGERS, La nuova alleanza, metamorfosi della scienza, Torino, 1981
«Che la scienza sia una lenta costruzione non mai finita alla quale ciascuno, nei limiti delle sue forze e delle sue capacità, può portare il suo contributo;…che la ricerca scientifica abbia come fine non il vantaggio di una singola persona o razza o gruppo, ma quello dell’intero genere umano; che in ogni caso lo sviluppo o la crescita della ricerca stessa sia qualcosa di più importante delle persone singole che la pongono in atto: queste, oggi diventate verità di senso comune, sono alcune fra le componenti essenziali di una considerazione della scienza che ha precise origini storiche. Essa è assente nelle grandi concezioni religiose dell’Oriente, nell’antichità classica, nella Scolastica medievale. Viene alla luce in Europa, come il più tipico prodotto della civiltà occidentale moderna, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento.»
P. ROSSI, I filosofi e le macchine (1400-1700), Milano, 1976
TIPOLOGIA C | TEMA DI ARGOMENTO STORICO |
Illustra le conseguenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle ragioni degli imponenti flussi di immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli.
TIPOLOGIA D | TEMA DI ORDINE GENERALE |
G. TAMBURRANO, Il cittadino e il potere, in “In nome del Padre”, Bari, 1983
Discuti l’affermazione citata, precisando se, a tuo avviso, in essa possa ravvisarsi un senso di “nostalgia” per il passato o l’esigenza, diffusa nella società contemporanea, di intessere un dialogo meno formale con la comunità circostante.
____________________________
Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore dalla dettatura del tema.
Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore dalla dettatura del tema.
Italiano Temi Esame di Stato 2006
Tracce Italiano 1^ Prova - Maturità
Istruzione Secondaria Superiore - Per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A | ANALISI DEL TESTO |
Giuseppe Ungaretti, L’isola (da Sentimento del tempo, 1919-1935, e in Vita d’un uomo, Mondadori, 1992)
1 | A una proda ove sera era perenne | L’ombra negli occhi s’addensava | |
Di anziane selve assorte, scese, | 15 | Delle vergini3 come | |
E s’inoltrò | Sera appiè degli ulivi; | ||
E lo richiamò rumore di penne | Distillavano i rami | ||
5 | Ch’erasi sciolto1 dallo stridulo | Una pioggia pigra di dardi, | |
Batticuore dell’acqua torrida, | Qua pecore s’erano appisolate | ||
E una larva (languiva | 20 | Sotto il liscio tepore, | |
E rifioriva) vide; | Altre brucavano | ||
Ritornato a salire vide | La coltre luminosa; | ||
10 | Ch’era una ninfa e dormiva | Le mani del pastore erano un vetro | |
Ritta abbracciata ad un olmo. | Levigato da fioca febbre. | ||
In sé da simulacro a fiamma vera | |||
Errando2, giunse a un prato ove |
1 - erasi sciolto: si era staccato, sollevato
2 - In sé…Errando: vagando col pensiero da una visione larvata ad una sensazione più forte
3 - L’ombra…delle vergini: negli occhi delle ninfe si addensava l’ombra (del sonno, ma anche della zona boscosa).
2 - In sé…Errando: vagando col pensiero da una visione larvata ad una sensazione più forte
3 - L’ombra…delle vergini: negli occhi delle ninfe si addensava l’ombra (del sonno, ma anche della zona boscosa).
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 1888 – Milano, 1970) di famiglia lucchese, dall’Egitto si trasferì in Europa, desideroso di fare nuove esperienze di vita e di cultura. Ebbe contatti a Parigi con la poesia simbolista e postsimbolista e con la filosofia di Bergson. Nella Prima Guerra Mondiale combatté in Italia, sul Carso. Visse a lungo a Roma. Sue principali raccolte poetiche: L’Allegria, 1919; Sentimento del tempo, 1933; Il Dolore, 1947; Terra promessa, 1950 (tutte con successive edizioni ampliate). – La lirica L’isola (del 1925, poi rielaborata) rievoca, come un sogno, una visita che Ungaretti, da Roma, aveva compiuto nella campagna intorno a Tivoli: non si tratta di una vera isola, ma di un paesaggio campestre, arcadico, in cui il poeta si era isolato e immerso, trasfigurando presenze reali in immagini mitiche.
1. Comprensione del testo
Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto informativo (movimenti del poeta nei luoghi; altre presenze reali; figure immaginarie).
2. Analisi del testo
2.1. A quale personaggio si riferiscono i verbi scese, s’inoltrò, vide (due volte), giunse (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono?2.2. Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto con quelli indicati nella domanda precedente?2.3. Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni ove sera era perenne (v. 1), acqua torrida (v. 6), la coltre luminosa (v. 22).2.4. Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole proda (v. 1), larva (v. 7) e simulacro (v. 12).2.5. Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che ricavi dalle espressioni rumore di penne, stridulo batticuore, acqua torrida e dal verbo erasi sciolto.2.6. Al v. 18 i dardi sono i raggi del sole che scendono attraverso i rami. Commenta l’espressione pioggia pigra di dardi, in cui un carattere umano, la pigrizia, è attribuito ad un elemento naturale.2.7. Commenta i due versi finali, rendendo con parole tue l’aspetto delle mani del pastore. (Ricorda che non lontano da Tivoli, nella campagna romana, a quel tempo era ancora diffusa la febbre malarica).
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
Riflettendo su questa lirica, e utilizzando le tue conoscenze di altre poesie di Ungaretti, commenta nell’insieme questo testo, per metterne in evidenza la libertà metrica e l’intreccio di richiami simbolici, che sfuggono a una ricostruzione logica ordinaria. Riferisciti anche al quadro generale delle tendenze poetiche, artistiche e culturali del primo Novecento in Italia e in Europa.
TIPOLOGIA B | Redazione di un "SAGGIO BREVE" o di un "ARTICOLO DI GIORNALE |
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CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano.
Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’.
Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’.
Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Il distacco nell’esperienza ricorrente dell’esistenza umana: senso di perdita e di straniamento, fruttuoso percorso di crescita personale.
DOCUMENTI
Dopo aver traversato terre e mari, | Ma ora, così come sono, accetta queste offerte | |
eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei, | bagnate di molto pianto fraterno: | |
estremo dono di morte per te, fratello, | le porto seguendo l’antica usanza degli avi, | |
a dire vane parole alle tue ceneri mute, | come dolente dono agli dèi sotterranei. | |
perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via, | E ti saluto per sempre, fratello, addio! | |
infelice fratello, strappato a me così crudelmente. | CATULLO, Dopo aver traversato terre e mari, trad. S. Quasimodo, Milano 1968 |
Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797
«Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri»
U. FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802
U. FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802
«Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.»
A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. VIII, 1840
A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. VIII, 1840
«Era il primo squarcio nella santità del babbo, la prima crepa nei pilastri che avevano sorretto la mia vita infantile e che ogni uomo deve abbattere prima di diventare se stesso. La linea essenziale del nostro destino è fatta di queste esperienze che nessuno vede. Quello squarcio e quella crepa si richiudono, si rimarginano e vengono dimenticati, ma in fondo al cuore continuano a vivere e a sanguinare.
Io stesso ebbi subito orrore di quel nuovo sentimento e avrei voluto buttarmi ai piedi di mio padre per farmelo perdonare. Ma non si può farsi perdonare le cose essenziali: lo sente e lo sa il bambino con la stessa profondità dell’uomo saggio.
Sentivo il bisogno di riflettere e di trovare una via d’uscita per l’indomani, ma non vi riuscii. Tutta la sera fui occupato ad assuefarmi alla mutata atmosfera del nostro salotto. La pendola e la tavola, la Bibbia e lo specchio, lo scaffale e i quadri alla parete prendevano commiato da me, e col cuore sempre più freddo ero costretto a veder sprofondare nel passato e staccarsi da me il mio mondo e la mia bella vita felice. Ero costretto a sentire le mie nuove radici che affondavano nel buio e succhiavano un mondo estraneo. Per la prima volta assaggiai la morte che ha un sapore amaro perché è nascita, angoscia e paura di un tremendo rinnovamento»
H. HESSE: Demian,1919, trad. it Mondadori, 1961
Io stesso ebbi subito orrore di quel nuovo sentimento e avrei voluto buttarmi ai piedi di mio padre per farmelo perdonare. Ma non si può farsi perdonare le cose essenziali: lo sente e lo sa il bambino con la stessa profondità dell’uomo saggio.
Sentivo il bisogno di riflettere e di trovare una via d’uscita per l’indomani, ma non vi riuscii. Tutta la sera fui occupato ad assuefarmi alla mutata atmosfera del nostro salotto. La pendola e la tavola, la Bibbia e lo specchio, lo scaffale e i quadri alla parete prendevano commiato da me, e col cuore sempre più freddo ero costretto a veder sprofondare nel passato e staccarsi da me il mio mondo e la mia bella vita felice. Ero costretto a sentire le mie nuove radici che affondavano nel buio e succhiavano un mondo estraneo. Per la prima volta assaggiai la morte che ha un sapore amaro perché è nascita, angoscia e paura di un tremendo rinnovamento»
H. HESSE: Demian,1919, trad. it Mondadori, 1961
«Ero partita per il Nord immaginando che la pena dell'addio si sarebbe consumata al momento dei saluti. In mezzo a un mondo ricco di novità eccitanti - un mondo che aspettava solo me -, la mia nostalgia era destinata a sbiadire rapidamente.
Così fantasticavo, e le mie fantasie di adolescente sconfinavano spesso nell'esaltazione.
Ma l'impatto fu atroce.
Quando, con un gesto deciso, si lacera un pezzo di stoffa, ci restano tra le mani due brandelli malinconicamente sfrangiati, e occorre lavorare con minuzia e pazienza per rimediare.
Le sfilacciature rimaste dopo lo strappo dalle nostre consuetudini meridionali erano tante, e ci vollero anni perché io e la mia famiglia potessimo restaurare i lembi delle nostre identità lacerate.
L'ansia suscitata in noi da modi di vita che ci erano estranei si manifestava sotto forma di diffidenza. E poi c'era la nostalgia, che non voleva sbiadire. E la retorica, che la sobillava.»
G. SCHELOTTO, Distacchi e altri addii, Mondadori, 2003
Così fantasticavo, e le mie fantasie di adolescente sconfinavano spesso nell'esaltazione.
Ma l'impatto fu atroce.
Quando, con un gesto deciso, si lacera un pezzo di stoffa, ci restano tra le mani due brandelli malinconicamente sfrangiati, e occorre lavorare con minuzia e pazienza per rimediare.
Le sfilacciature rimaste dopo lo strappo dalle nostre consuetudini meridionali erano tante, e ci vollero anni perché io e la mia famiglia potessimo restaurare i lembi delle nostre identità lacerate.
L'ansia suscitata in noi da modi di vita che ci erano estranei si manifestava sotto forma di diffidenza. E poi c'era la nostalgia, che non voleva sbiadire. E la retorica, che la sobillava.»
G. SCHELOTTO, Distacchi e altri addii, Mondadori, 2003
«Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio non da turisti, persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi c'è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove: una volta gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un processo lungo e doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame Bovary c'est moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia in Brasile, la mia vera patria; penso che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova migrazione.»
Da un’intervista di C. Collina alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS BRITO,
in “Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002
Da un’intervista di C. Collina alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS BRITO,
in “Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002
«Quando uno parte, si sa, dev’essere pronto a tornare o a non tornare affatto. È una porta che lui apre all’interno di una stanza buia, e che a volte si rinchiude da sola alle sue spalle.
Già emigrare – partire con un’idea chiara del non ritorno – è la radicalizzazione di questa esperienza. È rinunciare a un certo “se stesso” (e quindi accettare il lutto di vederlo prima atrofizzarsi e poi perire per totale assenza di contiguità con i personaggi del passato), per scommettere su un futuro “se stesso” totalmente ipotetico: un rischio assoluto. Quando la scimmia lascia il ramo dov’è appesa, per aggrapparsi a un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto»
Da un’intervista allo scrittore brasiliano Julio MONTEIRO MARTINS, a cura della redazione
di “Voci dal silenzio – Culture e letteratura della migrazione”, Ferrara - Lucca, dicembre 2003
Già emigrare – partire con un’idea chiara del non ritorno – è la radicalizzazione di questa esperienza. È rinunciare a un certo “se stesso” (e quindi accettare il lutto di vederlo prima atrofizzarsi e poi perire per totale assenza di contiguità con i personaggi del passato), per scommettere su un futuro “se stesso” totalmente ipotetico: un rischio assoluto. Quando la scimmia lascia il ramo dov’è appesa, per aggrapparsi a un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto»
Da un’intervista allo scrittore brasiliano Julio MONTEIRO MARTINS, a cura della redazione
di “Voci dal silenzio – Culture e letteratura della migrazione”, Ferrara - Lucca, dicembre 2003
«La partenza [per De Chirico] è un distacco traumatico, con riferimenti biografici (da Volos, cioè dalla sua città natale, partirono gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro), ma anche con un destino di viaggi e delusioni, avventure e depressioni, fino ad una probabile conquista…Un nuovo arrivo e subito dopo una nuova partenza: resta quello di Odisseo il mito centrale per De Chirico, l’uomo che ricerca se stesso attraverso la peregrinazione e la perdita di tutto, tranne che della memoria»
M. FAGIOLO DELL’ARCO, Pensare per immagini, in “I classici dell’arte - il Novecento - De Chirico”, Rizzoli 2004
M. FAGIOLO DELL’ARCO, Pensare per immagini, in “I classici dell’arte - il Novecento - De Chirico”, Rizzoli 2004
G. DE CHIRICO, L’angoscia della partenza, 1913
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: Città e periferie: paradigmi della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva.
DOCUMENTI
«Quale uso fare della città? Quale uso se ne è fatto nella Storia? Quante utopie hanno attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città ideale”? E quanti abusi? Se rivolgiamo i nostri pensieri alle città europee così come ci sono state consegnate dalla Storia, ecco che i confronti con l’attualità diventano subito un atto dovuto e altrettanto ineludibili i riferimenti ai disagi metropolitani di cui siamo testimoni oltre che recalcitranti vittime designate…I due problemi con i quali ci siamo trovati a fare i conti nelle città europee negli ultimi decenni sono il traffico automobilistico e il degrado o la manomissione dei Centri Storici»
L. MALERBA, Città e dintorni, Milano 2001
L. MALERBA, Città e dintorni, Milano 2001
«La città tradizionale dell’Europa mediterranea, che viene generalmente presa come modello…, è un organismo a tre elementi attorno ai quali si ripartiscono le sue attività e si definisce il suo ruolo. Il primo è l’elemento sacro, che simbolizza la protezione degli dei e impone dei doveri collettivi, generatori di disciplina. Il secondo è l’elemento militare, o della sovranità, rappresentativo del potere e del possesso dello spazio dominato dalla città…Il terzo è il mercato con i suoi annessi artigianali, luoghi dove si realizza l’economia specificamente cittadina…Nella misura in cui il mercato rappresenta il luogo della riunione funzionale della popolazione attiva della città, esso può divenire simbolo di democrazia..., ma può anche essere simbolo dell’affermazione dell’autorità del sovrano…Dovunque si presenti, la città ripropone sempre i tre elementi mediterranei unendo il sacro, il politico e l’economico…All’inizio del XX secolo le città europee sono, di fatto, delle città socialmente settorializzate, esclusivamente su basi qualitative: quartieri di lusso e quartieri operai, o quartieri poveri…Nella nostra epoca la prima spinta di crescita urbana che spezza i ritmi lenti e unitari del passato è quella del periodo che intercorre tra le due guerre mondiali…
A questo punto il quadro urbano risulta superato e le città tendono a scoppiare…L’unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta…»
Dalla voce Città, curata da P. GEORGE, nella “Enciclopedia delle scienze sociali”,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol.I, Roma, 1991
A questo punto il quadro urbano risulta superato e le città tendono a scoppiare…L’unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta…»
Dalla voce Città, curata da P. GEORGE, nella “Enciclopedia delle scienze sociali”,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol.I, Roma, 1991
«Il sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità urbana tra un centro strutturato, sedimentato e riconoscibile e un “resto” per molti aspetti casuale (Vittorini). L’anomalia periferica si presenta in termini relativi come “altro dalla città”, e in termini assoluti, come incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza: “un nuovo oggetto storico” senza limiti, né soglie; un “dappertutto che è nessun luogo” (Rella)»
F. PEREGO, “Europolis e la variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
F. PEREGO, “Europolis e la variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
«Le periferie non sono dei “non luoghi”. Con l’espressione “non luogo” caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la nostra società contemporanea. Il “luogo” per un antropologo è uno spazio nel quale tutto fa segno. O, più esattamente, è un luogo nel quale si può leggere attraverso l’organizzazione dello spazio tutta la struttura sociale…Oggi viviamo in un mondo nel quale lo spazio dei “non luoghi” si è di molto accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi della circolazione, del consumo, della comunicazione, eccetera. Sono spazi di solitudine…Prendiamo l’esempio di un supermercato. Ha tutti gli aspetti di un “non luogo”. Ma un supermercato può diventare anche un luogo di appuntamento per i giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo punto di vista si può dire che le banlieues sono dei “non luoghi” per la gente che viene da fuori…Ma sono, viceversa , dei “luoghi” di vita per molte persone»
M. AUGÉ, L’incendio di Parigi, “MicroMega” n. 7/2005
M. AUGÉ, L’incendio di Parigi, “MicroMega” n. 7/2005
«Se le nostre città non si riqualificano, a cominciare dalle periferie, consegneremo alle nuove generazioni un futuro di barbarie…La più grave malattia delle città si chiama esplosione urbana - dice Piano - una crescita forsennata, che dobbiamo correggere con interventi mirati per integrare il tessuto urbanistico e sociale delle periferie con il resto della città». Quindi, demolire o riqualificare i mostri in cemento nelle periferie? «La demolizione è un rimedio estremo, al quale ricorrere soltanto quando mancano i requisiti minimi della vivibilità, per esempio la luce e la tutela della salute». La seconda proposta riguarda le funzioni dei quartieri periferici. «La loro vita non può ridursi solo alla dimensione residenziale, così sono condannati a trasformarsi in giganteschi dormitori - afferma Piano - non a caso, quando ho progettato l’auditorium a Roma, ho voluto definirlo la fabbrica della musica. Attorno alle sale, in un’area di venti ettari, ho ipotizzato un parco pubblico, negozi, residenze e perfino un albergo». Il terzo punto decisivo del «manifesto» di Renzo Piano riguarda proprio gli architetti e il loro modo di lavorare. «Ogni angolo di territorio urbano che torna a vivere è anche un’opportunità economica. Per tutti - ... - a cominciare dagli architetti. Noi abbiamo bisogno di competenza e di umiltà. Pensare in grande, ma accontentarsi anche di piccoli progetti. E avere sempre una bussola etica perché attraverso la microchirurgia sul territorio può passare anche un nuovo umanesimo della vita urbana. Nelle periferie, l’immigrazione diventa più sostenibile se si impedisce che alla separazione sociale si sovrapponga quella etnica. Come accade, purtroppo, nei quartieri dormitorio»
A. GALDO, Periferie: la profezia di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
A. GALDO, Periferie: la profezia di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
«La città è anzitutto lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive; …La Città dell’antichità, anche quando è il centro di un potente impero, appare in una luce di gloria inseparabile dalla caducità, dall’eterno destino di vanità delle cose umane: Ninive, Persepoli o Babilonia evocano grandezza e rovina, indissolubili come le due facce di una moneta; …Atene, culla della civiltà e della politica mondiale, è la Polis, la città in cui i rapporti umani sono personali e concreti e tutto è visibile e tangibile, pure il meccanismo della vita sociale e del potere. Solo Roma - la Roma imperiale e promiscua del Satyricon - è una metropoli nel senso moderno, più simile a Londra o a New York che alle città greche, egizie od orientali dell’antichità. Nella modernità, la città si identifica con la borghesia - più tardi col proletariato industriale…la città, con le sue trasformazioni che sventrano e smontano il passato, è il movimento stesso delle sorti e dei sentimenti umani, il ritmo della vita e della storia che la racconta. La metropoli...cambia la sensibilità e la percezione dell’individuo, diviene una sua pelle sensibilissima che reagisce, anche e soprattutto subliminalmente, al continuo bombardamento di stimoli veloci ed effimeri»
C. MAGRIS, Amori, speranze, morte, le città della nostra vita, CORRIERE DELLA SERA, 9/9/2005
C. MAGRIS, Amori, speranze, morte, le città della nostra vita, CORRIERE DELLA SERA, 9/9/2005
«La periferia, lo si voglia o no, è la città moderna, è la città che abbiamo costruito…Se non sapremo di questa città cogliere non solo gli aspetti negativi, che sono tanti e indiscutibili, ma anche gli aspetti positivi, difficilmente riusciremo a rovesciare un processo che minaccia di travolgere il senso profondo della città, quella funzione di cui così chiaramente parla Aristotele quando dice che gli uomini hanno fondato la città per vivere meglio insieme… Secondo me la periferia è soprattutto una città non finita o meglio che non ha ancora raggiunto il momento della qualità, ma i famosi centri storici...sono stati anch’essi, prima di raggiungere questa condizione di equilibrio che ne sancisce l’intoccabilità, delle opere non compiute...Perché allora non guardare alla periferia non soltanto con il giusto sdegno che meritano i suoi particolari slegati, le sue caratteristiche di incompiutezza e di mancanza di significato, ma anche con umanistica “pietas” e cioè con amore, come una realtà da affrontare, di cui aver cura, in cui rispecchiare noi stessi in quanto essa è bene o male il prodotto delle nostre illusioni, delle nostre buone intenzioni non realizzate?»
P. PORTOGHESI, Riprogettare la città, in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
P. PORTOGHESI, Riprogettare la città, in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
«È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra...Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. – O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge»
I. CALVINO, Le città invisibili, 1972, III
I. CALVINO, Le città invisibili, 1972, III
3. AMBITO STORICO - POLITICO
ARGOMENTO: Democrazia e nazione, unità d’Italia e d’Europa, libertà e fratellanza sono i cardini del pensiero politico di Giuseppe Mazzini (1805-1872).
DOCUMENTI
«V’è nella mente di tanti italiani un Mazzini immaginario. V’è un Mazzini patriota, il più ardente patriota: uno dei “quattro fattori d’Italia” bene accostato, nelle poetiche sintesi e nelle narrazioni usuali, a Garibaldi, come a Cavour e a Vittorio Emanuele II;…V’è un Mazzini cospiratore…V’è un Mazzini pensatore sprofondato a dettare comandamenti, precetti morali, a formulare una dottrina morale, non solo per la politica ma per l’economia sociale…V’è un Mazzini quasi quasi ancora interessante, eccitatore di meditazioni, di elucubrazioni sul fatale andare dell’evoluzione sociale, sui guai che essa conduce seco; c’è un Mazzini morto per il tempo nostro, cioè superato, e non in grado di rispondere alle imperiose domande dell’attualità…Vorrei dir meglio: che sia giunto il momento dell’inizio di un serio studio del pensiero mazziniano, per il quale siano bandite la predica delle formule, la ripetizione delle frasi fatte, la retorica di inconcludenti cosiddetti cultori delle dottrine del (iniziale maiuscola) Maestro, e siano seguite indicazioni e ispirazioni per un’azione feconda di tutti coloro i quali sono impegnati nella politica, nel movimento sociale?»
G. CONTI, Alle fiamme il manichino, in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova Repubblica, 1998
G. CONTI, Alle fiamme il manichino, in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova Repubblica, 1998
Dal Manifesto del triumvirato della Repubblica Romana (Armellini, Mazzini, Saffi), 5 aprile 1849:
«…Noi non siamo Governo d’un partito, ma Governo della Nazione…Né intolleranza né debolezza. La Repubblica è conciliatrice ed energica...La Nazione ha vinto…Il suo Governo deve avere la calma generosa e serena, e non deve conoscere gli abusi della vittoria. Inesorabile quanto al principio, tollerante e imparziale con gl’individui; né codardo né provocatore: tale dev’essere un Governo per essere degno dell’istituzione repubblicana. Economia negli impieghi; moralità nella scelta degl’impiegati; capacità, accertata dovunque si può per concorso, messa a capo d’ogni ufficio, nella sfera amministrativa. Ordine e severità di verificazione e censura nella sfera finanziaria; limitazione di spese, guerra ad ogni prodigalità…Non guerra di classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o ingiuste di proprietà, ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato, e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’artificio, o di resistenza passiva…Poche e caute leggi, ma vigilanza decisa sull’esecuzione…Sono queste le basi generali del nostro programma».
G. MAZZINI, Scritti, Roma, 1877, vol. VII
«…Noi non siamo Governo d’un partito, ma Governo della Nazione…Né intolleranza né debolezza. La Repubblica è conciliatrice ed energica...La Nazione ha vinto…Il suo Governo deve avere la calma generosa e serena, e non deve conoscere gli abusi della vittoria. Inesorabile quanto al principio, tollerante e imparziale con gl’individui; né codardo né provocatore: tale dev’essere un Governo per essere degno dell’istituzione repubblicana. Economia negli impieghi; moralità nella scelta degl’impiegati; capacità, accertata dovunque si può per concorso, messa a capo d’ogni ufficio, nella sfera amministrativa. Ordine e severità di verificazione e censura nella sfera finanziaria; limitazione di spese, guerra ad ogni prodigalità…Non guerra di classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o ingiuste di proprietà, ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato, e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’artificio, o di resistenza passiva…Poche e caute leggi, ma vigilanza decisa sull’esecuzione…Sono queste le basi generali del nostro programma».
G. MAZZINI, Scritti, Roma, 1877, vol. VII
«La tendenza democratica dei nostri tempi, il moto di ascesa delle classi popolari desiderose di prender parte alla vita politica – finora riservata a una cerchia di privilegiati – non è più un sogno utopico, né un’incerta previsione: è un fatto, un grande fatto europeo che occupa ogni mente, incide sugli indirizzi dei governi, sfida ogni opposizione…Le idee che hanno agitato per lungo tempo il campo della Democrazia, quando vengono ponderatamente esaminate, possono essere raggruppate in due grandi dottrine; le quali, a loro volta, potrebbero essere riassunte in due parole: Diritti e Doveri. Dietro queste due grandi dottrine ci sono certo numerose varietà, e le varietà apparenti sono ancora di più…la Democrazia è soprattutto un problema educativo, e poiché il valore dell’educazione dipende dalla verità del principio su cui si basa, l’intero futuro della Democrazia è condizionato da tale questione».
G. MAZZINI, in “People’s Journal”, n. 35, 28/8/1846 e n. 40, 3/10/1846, ora in
Pensieri sulla Democrazia in Europa, a cura di S. Mastellone, Milano, Feltrinelli, 1997
G. MAZZINI, in “People’s Journal”, n. 35, 28/8/1846 e n. 40, 3/10/1846, ora in
Pensieri sulla Democrazia in Europa, a cura di S. Mastellone, Milano, Feltrinelli, 1997
«Dubito che, nella sua generazione, ci sia stato nessuno che abbia esercitato sui destini dell’Europa un’influenza altrettanto profonda. La carta dell’Europa quale la vediamo oggi è quella di Giuseppe Mazzini. Mazzini è stato il profeta della libera nazionalità…Lo splendido edificio innalzato da Bismarck è miseramente disfatto, ma i sogni di quel giovane, venuto in Inghilterra come esule e vissuto qui anni e anni in povertà, vivendo della carità degli amici e armato soltanto della sua penna, sono ora diventati stupefacenti realtà in tutto il continente…Non ci ha insegnato soltanto i diritti di una nazione: ci ha insegnato i diritti delle altre…Mazzini è il padre dell’idea della Lega delle Nazioni».
LLOYD GEORGE, in “The Times”, 29/6/1922, riportato in Denis MACK SMITH, Mazzini, Milano, Rizzoli, 1993
LLOYD GEORGE, in “The Times”, 29/6/1922, riportato in Denis MACK SMITH, Mazzini, Milano, Rizzoli, 1993
«Non si può ricordare degnamente Mazzini senza mettere in rilievo il fondamento etico-religioso del suo pensiero politico, che tendeva ad un laicismo che non fosse privo di spiritualità, e ad una politica che non mancasse di moralità».
L. STURZO, Dio e popolo (12 maggio 1949), in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova Repubblica, 1998
L. STURZO, Dio e popolo (12 maggio 1949), in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova Repubblica, 1998
4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Finalità e limiti della conoscenza scientifica: che cosa ci dice la scienza sul mondo che ci circonda, su noi stessi e sul senso della vita?
DOCUMENTI
«Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta».
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 1921, 6.52
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 1921, 6.52
«Viviamo in un mondo che ci disorienta con la sua complessità. Vogliamo comprendere ciò che vediamo attorno a noi e chiederci: Qual è la natura dell’universo? Qual è il nostro posto in esso? Da che cosa ha avuto origine l’universo e da dove veniamo noi?…quand’anche ci fosse una sola teoria unificata possibile, essa sarebbe solo un insieme di regole e di equazioni. Che cos’è che infonde vita nelle equazioni e che costruisce un universo che possa essere descritto da esse? L’approccio consueto della scienza, consistente nel costruire un modello matematico, non può rispondere alle domande del perché dovrebbe esserci un universo reale descrivibile da quel modello. Perché l’universo si dà la pena di esistere?...Se però perverremo a scoprire una teoria completa, essa dovrebbe essere col tempo comprensibile a tutti nei suoi principi generali, e non solo a pochi scienziati. Noi tutti - filosofi, scienziati e gente comune - dovremmo allora essere in grado di partecipare alla discussione del problema del perché noi e l’universo esistiamo. Se riusciremo a trovare la risposta a questa domanda, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di Dio»
S. HAWKING, Dal Big Bang ai buchi neri, 1988
S. HAWKING, Dal Big Bang ai buchi neri, 1988
«Come l’arte, anche la scienza non è affatto semplicemente una attività culturale dell’uomo. La scienza è un modo, e un modo decisivo, in cui si presenta a noi tutto ciò che è. Per questo dobbiamo dire che la realtà, entro la quale l’uomo odierno si muove e si sforza di mantenersi, è codeterminata in misura crescente nei suoi tratti fondamentali da ciò che si usa chiamare la scienza occidentale o la scienza europea. Se riflettiamo su questo processo, vediamo che la scienza, nel mondo occidentale e nelle varie epoche della storia di questo, ha sviluppato una potenza mai prima conosciuta sulla terra ed è sul punto di estendere conclusivamente questa potenza su tutto il globo terrestre. Si può dire che la scienza sia solo un prodotto dell’uomo sviluppatosi fino a questo livello di dominio, così che ci si potrebbe aspettare che un giorno…sia anche possibile rovesciare questo suo dominio? Oppure qui domina un destino di più ampia portata? Forse nella scienza c’è qualcos’altro che domina, oltre al puro voler-sapere dell’uomo? In effetti è proprio così. C’è qualcos’altro che qui domina. Ma questo altro ci si nasconde, fino a che rimaniamo attaccati alle rappresentazioni correnti della scienza»
M. HEIDEGGER, Scienza e meditazione, Conferenza tenuta a Monaco il 4/8/1953, ora in Saggi e discorsi, 1957
M. HEIDEGGER, Scienza e meditazione, Conferenza tenuta a Monaco il 4/8/1953, ora in Saggi e discorsi, 1957
«I progressi della scienza sono un capitolo tra i più affascinanti nella storia del nostro tempo. I suoi enormi successi sono stati raggiunti, peraltro, attraverso una delimitazione metodica. Ci si è limitati strettamente e del tutto consapevolmente a ricercare soltanto ciò che poteva essere misurato e contato. Ma ogni delimitazione comporta anche dei confini e dunque sono “rimaste fuori” tutte le questioni che riguardano il perché dell’esistenza, da dove veniamo, dove andiamo». Quindi? «Se gli scienziati affermassero che quanto hanno scoperto esaurisce tutta la realtà, si avrebbe un superamento dei limiti. E allora si deve replicare, non tanto per motivi di fede ma per motivi di ragione: “Questo è troppo poco”. L’intelligenza umana va oltre il misurabile e l’enumerabile. Arriva anche alle grandi questioni metafisiche, alla domanda di senso»
Da un’intervista a Ch. Schoenborn, in M. POLITI, C’è un Disegno nell’universo, LA REPUBBLICA, 6/11/2005
Da un’intervista a Ch. Schoenborn, in M. POLITI, C’è un Disegno nell’universo, LA REPUBBLICA, 6/11/2005
«Ogni volta che un filosofo vi dirà di aver scoperta la verità definitiva non credetegli; e non credetegli neppure se vi dirà di aver individuato il bene supremo. Egli, infatti, si limiterebbe a ripetere gli errori commessi dai suoi predecessori per duemila anni…Si pretenda dal filosofo che sia modesto come lo scienziato; allora egli potrà avere il successo dell’uomo di scienza. Ma non gli si chieda che cosa dobbiamo fare. Ascoltiamo piuttosto la nostra volontà e cerchiamo di unirla a quella degli altri. Il mondo non ha alcuno scopo o significato all’infuori di quello che vi introduciamo noi»
H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, 1951, trad. it. 1961
H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, 1951, trad. it. 1961
«La scienza, che cominciò come ricerca della verità, sta divenendo incompatibile con la veridicità, poiché la completa veridicità tende sempre più al completo scetticismo scientifico. Quando la scienza è considerata contemplativamente, non praticamente, ci si accorge che ciò che crediamo lo crediamo per la nostra fede animale, e che alla scienza dobbiamo solo i nostri disinganni. Quando, d’altro canto, la scienza si considera come una tecnica per la trasformazione di noi stessi e di quanto ci sta attorno, vediamo che ci dà un potere del tutto indipendente dalla sua validità metafisica. Ma noi possiamo solo usare questa potenza, cessando di rivolgerci delle domande metafisiche sulla natura della realtà. Eppure queste domande sono la testimonianza dell’atteggiamento di amore verso il mondo. Così, solo in quanto noi rinunciamo al mondo come amanti, possiamo conquistarlo da tecnici. Ma questa divisione dell’anima è fatale a ciò che vi è di meglio nell’uomo. Non appena si comprende l’insuccesso della scienza considerata come metafisica, il potere conferito dalla scienza come tecnica si otterrà solo da qualcosa di analogo alla adorazione di Satana, cioè, dalla rinuncia dell’amore…La sfera dei valori sta al di fuori della scienza, salvo nel tratto in cui la scienza consiste della ricerca del sapere. La scienza, come ricerca del potere, non deve ostacolare la sfera dei valori, e la tecnica scientifica, se vuole arricchire la vita umana, non deve superare i fini a cui dovrebbe servire»
B. RUSSELL, La visione scientifica del mondo, cap. XVII, 1931
B. RUSSELL, La visione scientifica del mondo, cap. XVII, 1931
«Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto…Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso…concernono l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, l’uomo che deve liberamente scegliere, l’uomo che è libero di plasmare razionalmente se stesso e il mondo che lo circonda. Che cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla non-ragione, che cos’ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà?…La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico sia il mondo spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo e l’esistenza umana possono avere un senso se le scienze ammettono come valido e come vero soltanto ciò che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro da insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i legami di vita, gli ideali, le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi sempre di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli? Possiamo accontentarci di ciò, possiamo vivere in questo mondo in cui il divenire storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e di amare delusioni? »
E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee, ed. post. 1959, § 2, passim
E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee, ed. post. 1959, § 2, passim
TIPOLOGIA C | TEMA DI ARGOMENTO STORICO |
O.N.U., Patto Atlantico, Unione Europea: tre grandi organizzazioni internazionali di cui l’Italia è Stato membro.
Inquadra il profilo storico di queste tre Organizzazioni e illustra gli indirizzi di politica estera su cui, per ciascuna di esse, si è fondata la scelta dell’Italia di farne parte.
Inquadra il profilo storico di queste tre Organizzazioni e illustra gli indirizzi di politica estera su cui, per ciascuna di esse, si è fondata la scelta dell’Italia di farne parte.
TIPOLOGIA D | TEMA DI ORDINE GENERALE |
Campagne e paesi d’Italia recano ancora le tracce di antichi mestieri che la produzione industriale non ha soppiantato del tutto e le botteghe artigiane continuano ad essere luoghi di saperi e di culture ai quali l’opinione pubblica guarda con rinnovato interesse. Contemporaneamente, anche il mondo dell’artigiano è stato investito dalla innovazione tecnologica che ne sta modificando contorni e profilo.
Rifletti sulle caratteristiche dell’artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed economica che esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese.
Rifletti sulle caratteristiche dell’artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed economica che esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese.
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Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore dalla dettatura del tema.
Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
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